Indice degli articoli

  • Considerazioni sulla crisi economica mondiale (ottobre 2012)
  • Crescita, sviluppo e diritti umani (novembre 2012)
  • Problemi ed idee ai margini dell’attuale crisi economica (luglio 2013)
  • Sui diritti umani in Italia (dicembre 2013)


Considerazioni sulla crisi economica mondiale (ottobre 2012)

 

Tutti sappiamo, perché ce l’hanno detto in tutte le salse, che questa crisi è generata, secondo alcuni in buona parte, secondo altri del tutto, dalla speculazione finanziaria.

È tuttavia ipotizzabile che esistano tre cause della crisi, ognuna delle quali abbastanza pesante da essere in grado di alterare il normale andamento dell’economia mondiale: una sfrenata ed incontrollata speculazione finanziaria, una globalizzazione anch’essa incontrollata, e la situazione economica della più grande potenza economica mondiale, gli Stati Uniti, caratterizzata dall’indebitamento dello stato federale oltre che dal deficit delle bilancia commerciale.

Cerchiamo di capire questi tre punti.

 

La speculazione finanziaria

 

Dove sta il problema fondamentale ? Sta nella circostanza che la finanza, mentre per un verso presenta rischi elevati, per l’altro può assicurare rendimenti di gran lunga superiori agli investimenti in attività produttive, con l’ovvia conseguenza del trasferimento di quantità enormi di capitali dalle seconde alla prima, e quindi con l’effetto della sottrazione di risorse alla produzione, il tutto facilitato dalla tecnologia che ha globalizzato, oltre che l’economia,  anche la finanza e consente in pochi istanti di spostare capitali da una parte all’altra del mondo.

Si è quindi generata nel mondo economico contemporaneo una sorta di “mostruosità” costituita da somme enormi, che fanno impallidire i bilanci anche di grandi stati, impiegate in vere e proprie “scommesse” utilizzando l’esistenza di inammissibili “paradisi fiscali”, dove i grandi capitali possono risiedere senza dover rendere conto a nessuno, e di altrettanto inammissibili mercati non regolamentati, i così detti “over the counter”.

In questi ultimi operano titoli, la cui natura è spesso null’altro che una scommessa senza alcuna corrispondenza con l’economia reale, o, cosa peggiore, che sono in grado di influire sull’economia reale speculando sull’andamento dei prezzi delle merci e soprattutto speculando sui debiti pubblici, mettendo quindi in difficoltà, come tutti stiamo vedendo, quegli stati che, con politiche certamente poco avvedute, hanno generato forti debiti pubblici.

Tutto ciò è stato generato dalla politica mondiale che ha voluto assicurare la massima libertà ai mercati finanziari, appellandosi ai principi del neo-liberismo, in base ai quali lo stato deve astenersi dall’intervenire nel mondo economico poiché i mercati si autoregolano automaticamente; concetto contrastato da chi pensa che chi possiede rilevanti risorse finanziarie sia in grado di alterare l’andamento dei mercati a proprio vantaggio e a scapito del benessere della stragrande maggioranza delle persone.

Un esempio, molto calzante, dell’incidenza che può avere la speculazione finanziaria sull’andamento dei sistemi economici è fornito dall’esistenza di titoli speculativi, fra quelli a cui si accennava prima, i CDS, ossia i credit default swaps, nati per fornire una protezione dal fallimento degli stati ai possessori dei loro titoli. Questi titoli sono però divenuti oggetto di speculazione, poiché essi aumentano di valore se lo stato a cui si riferiscono è a rischio di default. Conseguentemente chi ha investito grosse somme in essi ha tutto l’interesse a diffondere la convinzione che quello stato non sarà in condizione di far fronte ai suoi debiti. Da lì gli attacchi a paesi obiettivamente in difficoltà; difficoltà che però sono state amplificate artificiosamente per favorire, nel modo descritto, la speculazione.

In questo stato di cose, qual è stato il torto delle autorità internazionali, G20 e Fondo Monetario Internazionale in testa ? Non aver voluto far niente sia per regolare i movimenti internazionali di capitali, sia per rendere impossibile la sopravvivenza dei paradisi fiscali e del mercati over the counter, sia per il raggiungimento di un accordo internazionale per l’introduzione, in tutti i mercati, di tassazioni sulle transazioni finanziarie che scoraggino la speculazione.

Da ciò si comprende quali misure potrebbero essere prese a livello mondiale per una almeno parziale soluzione.

 

La globalizzazione incontrollata

 

Gli ultimi decenni hanno visto imporsi, nel mondo, la così detta “economia globale” effetto dell’evoluzione raggiunta da trasporti e comunicazioni che consentono ad un’impresa di spostare le attività produttive, totalmente o in parte, dal luogo d’origine a paesi che garantiscono produzioni più economiche per effetto soprattutto del minor costo del lavoro.

Le conseguenze per i paesi d’origine sono tutt’altro che trascurabili, sia a livello collettivo che individuale.

Intanto, dal punto di vista collettivo, si ha una sottrazione di PIL nazionale, trasferito verso i nuovi paesi di produzione. Si ha infatti del valore aggiunto (consistente in salari, servizi,  profitti d’impresa ed imposte) realizzato altrove.

Ciò, ovviamente, si traduce anche in effetti individuali per la perdita di posti di lavoro, circostanza che ha peraltro la conseguenza di frenare la crescita delle retribuzioni, le quali, infatti, da anni, in tutto il mondo occidentale, non riescono a crescere in misura pari all’aumento della produttività derivante dal progresso tecnologico.

Si dirà che tutto ciò a livello mondiale viene compensato dall’incremento di posti di lavoro e del PIL nei paesi di nuova localizzazione della produzione, e quindi, con una visione universale, tutto torna a posto.

Ciò sarebbe vero se ci trovassimo in presenza di una corretta globalizzazione che non vedesse la giustificazione del fenomeno in una stortura, consistente nel minor costo del lavoro nei nuovi paesi, dato sia da salari più bassi, sia dalla inosservanza di norme di carattere sociale ormai quasi del tutto osservate nei paesi industriali - che si riferiscono ai contributi per l’assistenza sociale ed alle imposte - sia dal ricorso massiccio al lavoro minorile.

Quello che in atto si realizza, quindi, è una distorsione del sistema economico mondiale che vede, da una parte, diminuire il potere contrattuale dei lavoratori, con l’effetto che sta modificandosi – come statisticamente dimostrato - la distribuzione del reddito a sfavore dei lavoratori, e dall’altra il non conseguimento di quello che, ragionevolmente, poteva essere il beneficio di una sana globalizzazione, ossia la crescita economica diffusa a tutta la popolazione nei paesi meno sviluppati economicamente, che invece sono passati dal vecchio colonialismo, degli stati, al neo-colonialismo messo in atto dalle imprese di quegli stessi paesi ex coloniali.

La conseguenza più grave di ciò è che i paesi occidentali da anni vedono un aumento sempre più pesante della disoccupazione, che, ovviamente, si traduce in una caduta dei consumi, e quindi anche delle entrate dello stato, moltiplicando l’effetto primario della globalizzazione sul PIL, con la conseguente crisi economica quasi permanente.

A cosa è dovuto questo stato di cose ?

Non può che attribuirsi al grande potere politico posseduto dalle grandi multinazionali che impediscono che vengano messe in atto politiche internazionali volte ad imporre ai paesi non ancora evolutisi in termini sociali di dotarsi di norme di protezione del lavoro che facciano cessare lo sfruttamento nel proprio territorio, sia in termini di salari, sia in termini contributivi, sia in termini di lavoro nero. Nel contempo nei paesi industrializzati sono mancate – per gli stessi motivi - norme rigorose per il controllo delle modalità di produzione dei beni importati, lasciando, ovviamente, inalterato il principio della libera circolazione delle merci, purché correttamente prodotte.

Una svolta, costituita dall’introduzione di norme del genere, non cancellerebbe subito e totalmente le disparità fra i paesi ad antica tradizione industriale e i paesi in via di sviluppo, poiché in questi, almeno per un periodo non brevissimo, i salari resterebbero più bassi, ma renderebbe equa ed utile la globalizzazione, fenomeno prodotto dai tempi e quindi ineluttabile.

 

L’economia degli Stati Uniti

 

L’attuale crisi ha tuttavia le sue origini negli Stati Uniti con la crisi dei mutui “subprime”, ossia dei mutui concessi a chi non aveva un reddito sufficiente a pagare le rate di ammortamento.

Il diffondersi di questa pratica, dei mutui facili, portò ben presto, al moltiplicarsi dei casi di insolvenza da parte dei mutuatari, fenomeno che toccò il culmine negli anni 2007 – 2008, con conseguente crisi finanziaria delle principali banche americane.

Per evitare il panico presso gli sportelli bancari, il governo statunitense decise massicci interventi a favore delle banche, interventi che, mentre non riuscivano ad evitare il crollo delle quotazioni di borsa, in cui le banche hanno un peso preponderante, accentuavano l’indebitamento pubblico degli Stati Uniti.

Questa situazione di indebitamento dello stato federale, peraltro, si affianca al deficit, ormai cronico, della bilancia commerciale statunitense.

Parallelamente, come si sa, un altro sistema economico, quello cinese, è da anni in costante crescita, tanto da consentire a quest’ultimo paese enormi disponibilità finanziarie, che hanno trovato nei titoli di stato americani un investimento privilegiato. Ciò ha consentito di mantenere a galla l’economia degli Stati Uniti che ha trovato chi finanziasse il proprio debito.

Probabilmente, però, da parte dell’alta finanza americana è stato avvertito il pericolo che, subentrando nel mondo la sfiducia nella capacità degli Stati Uniti di far fronte ai propri debiti, anche per la crisi che attraversava quel paese, si diffondesse un abbandono dei titoli di stato americani, con conseguente perdita di valore dei titoli stessi e quindi del patrimonio dei loro possessori.

Da qui l’attacco all’euro, principale competitore internazionale del dollaro nei mercati finanziari, perpetrato attaccando i paesi più poveri dell’area dell’euro.

Anche in questo caso, come negli altri due, ci troviamo in presenza di una carenza di controlli sull’attività finanziaria, che apparentemente ha le sue radici nel dilagare del neo-liberismo, ma che in realtà è dovuto allo strapotere non solo economico-finanziario, ma anche e soprattutto politico da parte dell’alta finanza che si fa scudo delle idee neo-liberiste per difendere i propri interessi a scapito di quelli della quasi totalità della popolazione.

 

 

Uscire da tale stato di cose non sarà facile, poiché occorrono riforme, in parte qui accennate, del sistema economico–finanziario mondiale, riforme che dovrebbero essere promosse, in pieno accordo, almeno dalle maggiori potenze economiche mondiali – quelle del G20 – ma che vengono impedite dai potentati economici che ormai dominano totalmente in tutti i paesi, anche in quelli che si presumono democratici.

 

                                                            ********************

 

 

Crescita, sviluppo e diritti umani (novembre 2012)

 

Quando si tratta dell’andamento di un sistema economico, si parla a volte di crescita economica e a volte di sviluppo economico. Qual è la differenza ?

La crescita (anche negativa) altro non è che la semplice misura della variazione del PIL.

Lo sviluppo, quello vero, quello completo, va, invece, ben oltre i termini quantitativi, ovviamente essenziali. Esso deve comprendere aspetti qualitativi della vita e si esplica soprattutto nella vita sociale, culturale e politica. Perché vi sia autentico sviluppo, ogni cittadino deve avere la possibilità di accedere a lavori equamente retribuiti, deve disporre di una abitazione confortevole, di una alimentazione sufficiente, di una assistenza medica soddisfacente, di un abbigliamento decoroso, in un contesto di libertà di espressione e di associazione, in una società che garantisca che non possano verificarsi abusi quali arresti illegali, torture, o processi senza garanzie per la difesa.

Il vero sviluppo, in altri termini, non può prescindere dal rispetto dei diritti umani, e, fra questi in particolare, dei diritti economici e sociali e dei diritti civili e politici.

Del resto questi concetti già da tempo hanno trovato conferma anche nell’ambito delle Nazioni Unite, presso cui dagli inizi degli anni 90 esiste l’United Nations Development Programme che ogni anno pubblica un Rapporto che si basa sulla determinazione, per ogni paese, di un “indice di sviluppo umano” calcolato sulla base di tre parametri: speranza di vita alla nascita, tasso di alfabetizzazione, reddito pro-capite in dollari (a parità di potere d’acquisto). Come si vede, tuttavia, come è riconosciuto dalla stessa organizzazione, manca un indicatore che misuri il rispetto dei diritti umani e delle libertà politiche.

 

Nel tentativo di rispondere al quesito se si verifichino al mondo casi di “crescita” senza “sviluppo”, prenderemo ad esempio alcuni paesi, dei quali esamineremo nella tabella che segue alcuni indicatori economici.

Si noterà anche che spesso un alto tasso di crescita del PIL va anche valutato in relazione al basso, se non bassissimo, livello da cui si parte. Elemento che toglie molto al merito del risultato conseguito, pur se costantemente elevato negli anni.

Nella tabella, per raffronto, sono stati riportati anche i dati dell’Italia e del Mondo.

I paesi sono ordinati in ordine decrescente di indice di sviluppo umano.

 


 

Paese

cresc.PIL 2011

PIL p.c. 2011

Indice Gini (anno)

Ind.Sv.Umano 2011

 

 

tasso

posiz.mond.

 valore $

posiz.mond.

Indice

indice

posiz.mond.

 

NIGERIA

7,2

27

  2.600

178

0,437(2003)

0,459

156

 

INDIA

7,2

26

  3.700

165

0,368(2004)

0,547

134

 

TURKMENISTAN

14,7

3

  7.900

128

0,408(1998)

0,686

102

 

CINA

9,2

10

  8.500

122

0,480(2008)

0,687

101

 

COLOMBIA

5,9

47

 10.400

109

0,560(2010)

0,710

88

 

BRASILE

2,7

129

 11.900

102

0,519(2012)

0,718

85

 

KAZAKISTAN

7,5

23

 13.200

94

0,267(2009)

0,745

68

 

RUSSIA

4,3

87

 17.000

71

0,420(2010)

0,755

66

 

ARABIA SAUDITA

6,8

34

 24.500

55

 

0,770

56

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ITALIA

0,4

189

30.900

44

0,337(2008)

0,874

24

 

MONDO

3,7

 

12.000

 

0,390(2007)

0,682

 

 

 

 

 

Vanno chiariti alcuni dati e termini usati.

Il reddito pro-capite riportato, espresso in dollari USA, è “a parità di poter d’acquisto”, ponderato, cioè, in base al potere d’acquisto delle monete dei vari paesi.

Fonte del reddito pro-capite e del suo tasso di crescita è la CIA (Central Intelligence Agency degli Stati Uniti)

L’indice di GINI (anch’esso da fonte CIA) indica la concentrazione del reddito. Esso si basa sulla curva di distribuzione del reddito di Lorenz. Tanto più basso è l’indice tanto più equa è la distribuzione e viceversa.

L’osservazione di questo dato già consente di comprendere come ad una buona crescita possa non corrispondere il godimento di questa da parte di larghi strati della popolazione. Esempio più clamoroso fra i paesi considerati è la Nigeria.

L’indice di sviluppo umano, è valutato annualmente dall’United Nations Development Programme sulla base di parametri che aggiungono alle condizioni economiche, indicatori che si riferiscono alla qualità della vita, come l’alfabetizzazione e la speranza di vita.

La percentuale di persone che vive con un reddito inferiore a dollari 1,25 al giorno è pure rilevato (dove possibile) dall’United Nations Development Programme.

Anche queste due colonne, nella tabella, consentono di individuare, fra quelli esposti, i paesi in cui una forte crescita non corrisponde ad un vero sviluppo.

 

Tuttavia, come già sottolineato, ciò non completa l’esame. Lo si può fare osservando un altro importantissimo dato, che si riferisce allo stato dei diritti umani.

Esaminiamo quindi, fra quelli in tabella, gli stati in cui, a detta di importanti organismi quali l’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU ed Amnesty International, si riscontrano gravi violazioni dei diritti umani.

 

NIGERIA

 

  • mancanza di democrazia
  • uccisioni per motivi politici da parte delle forze di sicurezza
  • torture e maltrattamenti nei confronti di detenuti e sospetti
  • pesanti condanne da parte dei tribunali islamici
  • prigioni in pessimo stato
  • arresti arbitrari e detenzioni preventive troppo lunghe
  • diffusione della corruzione
  • mancato rispetto della privacy
  • restrizioni della libertà di stampa e di assemblea
  • limitata libertà di religione
  • limitata libertà di movimento
  • discriminazione delle leggi nei confronti delle donne
  • violenza anche domestica impunita nei confronti delle donne
  • diffusa pratica delle mutilazioni genitali femminili
  • abusi nei confronti di minori
  • prostituzione minorile
  • violenze nei confronti delle minoranze etniche e religiose
  • traffico umano per prostituzione e lavoro in stato di schiavitù
  • restrizioni nei confronti dei diritti dei lavoratori
  • lavoro minorile

 

Appare chiaro quanto penalizzanti siano i diritti umani in Nigeria, che già si trova agli ultimi posti in termini di indice di sviluppo umano. La posizione di coda viene quindi ampiamente confermata in funzione del rispetto dei diritti umani.

 

CINA

 

  • migliaia di persone sono detenute senza garanzie
  • numerosissime sono le segnalazioni di torture e maltrattamenti
  • molto frequente è il ricorso alla pena di morte anche per delitti non particolarmente gravi e non contro la persona
  • manca la libertà di stampa
  • vengono segnalati numerosi arresti nei confronti di oppositori politici
  • le proteste popolari vengono represse duramente
  • non vengono garantiti di diritti delle minoranze
  • è impedita la libertà di religione
  • mManca la libertà politica (esiste un solo partito)
  • sSi segnalano vessazioni ed arresti nei confronti dei difensori dei diritti umani
  • non viene rispettata la privacy dei cittadini (controllo dei telefoni)
  • è applicato il controllo forzato delle nascite, anche con la sterilizzazione
  • non è applicata la libertà di assemblea
  • sono stati segnalati rimpatri forzati di rifugiati nord coreani
  • è praticato il traffico di esseri umani (donne e minori)
  • non sono garantiti i diritti dei lavoratori

 

L’estrema carenza dei diritti umani in Cina, non può non far precipitare l’indice di sviluppo umano, in una valutazione più ampia dal punto di vista qualitativo, a livelli molto bassi nella graduatoria mondiale.

 

ARABIA SAUDITA

 

  • non esistono partiti politici e non sono previste elezioni per il governo del paese
  • le leggi prevedono pesanti punizioni corporali (ad esempio le amputazioni)
  • è praticata la tortura
  • vengono segnalati arresti arbitrari e detenzioni in isolamento
  • sono negati regolari processi pubblici
  • si verificano imprigionamenti per motivi politici
  • manca la privacy per i cittadini
  • sono represse le libertà di stampa, di assemblea e di associazione
  • manca la libertà religiosa (processi per la pratica pubblica di religioni diverse da quella di stato)
  • esistono discriminazioni verso le donne e tutte le minoranze
  • sono ignorati i diritti dei lavoratori
  • viene applicata la pena di morte

 

Se l’indice di sviluppo umano non risulta fra i più bassi del mondo, le considerazioni che emergono dall’analisi dei diritti umani fanno decisamente scendere la valutazione della qualità dello sviluppo in Arabia Saudita. 

 

KAZAKISTAN

 

  • libertà politica seriamente limitata 
  • arresti arbitrari soprattutto nei confronti di oppositori politici
  • frequente ricorso ad incriminazioni con accuse non provate
  • libertà di stampa fortemente ridotta anche con minacce e vessazioni nei confronti dei giornalisti
  • libertà di associazione fortemente repressa
  • libertà di religione molto limitata
  • maltrattamenti nei confronti delle persone imprigionate
  • condizioni di vita nelle prigioni molto cattive
  • non esistono sufficienti norme contro la discriminazione e la violenza nei confronti delle donne, inclusa la violenza domestica
  • corruzione delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario
  • non viene rispettato il diritto alla privacy dei cittadini
  • non esiste alcuna norma in difesa dei disabili
  • traffico umano
  • diritti dei lavoratori limitati e condizioni di sicurezza nelle industrie ai livelli minimi
  • lavoro minorile, specie nelle campagne

da quanto sopra si deduce che la valutazione dell’indice di sviluppo umano, già non particolarmente elevata, tenendo conto delle violazioni dei diritti umani rilevati, si ridurrebbe ulteriormente.

 

INDIA

 

  • uccisioni di carcerati  ed uccisioni extragiudiziarie
  • ricorso alla tortura da parte delle forze di polizia
  • cattive condizioni delle prigioni
  • carcerazioni preventive troppo lunghe
  • limitazioni alla libertà di stampa
  • limitazioni alla libertà di movimento
  • arresti di difensori dei diritti umani
  • corruzione della pubblica amministrazione e del governo
  • discriminazione da parte delle leggi nei confronti della donna
  • prostituzione forzata anche di minori
  • infanticidi femminili ed aborti di feti di femmine
  • traffico di donne e minori
  • discriminazioni nei confronti dei disabili
  • discriminazioni e violenze per ragioni etniche, di casta e di religione
  • sfruttamento del lavoro minorile

 

Il già basso indice di sviluppo umano dell’India, considerato quanto emerge dall’analisi del rispetto dei diritti umani, dovrebbe essere ulteriormente abbassato.

 

 

TURKMENISTAN

  • mancanza di democrazia. Esiste infatti un solo partito. Gli altri  non sono riconosciuti ed i loro dirigenti si sono dovuti rifugiare all’estero
  • torture e maltrattamenti nei confronti dei prigionieri
  • prolungati imprigionamenti in isolamento
  • arresti arbitrari nei confronti di minoranze  religiose
  • mancanza di processi equi
  • arbitrari ingerenze nella vita privata
  • restrizioni nella libertà di parola, di stampa, di assemblea e di associazione
  • mancanza di libertà religiosa
  • violenze nei confronti delle donne
  • restrizioni nella libera associazione dei lavoratori

Come si vede il livello medio dell’indice di sviluppo umano subisce un peggioramento tenendo conto del rispetto dei diritti umani.

 

COLOMBIA

 

  • il paese è caratterizzato dalla presenza di numerose bande armate
  • nella lotta alle bande armate sono state attribuite alle forze di polizia poteri speciali che non garantiscono il rispetto dei diritti umani
  • numerosi casi di detenzioni arbitrarie, sparizioni, torture, esecuzioni extragiudiziarie
  • arresti illegali nei confronti di politici, giornalisti, difensori dei diritti umani. I responsabili restano impuniti
  • numerosi casi di violenze contro le donne, anche in famiglia
  • le forze militari commettono spesso atti criminali verso i civili comprese torture ed esecuzioni arbitrarie
  • non è ammessa l’obiezione di coscienza
  • discriminazioni nei confronti degli indigeni e delle comunità minori
  • elevato numero di detenuti in attesa di processo
  • pessime condizioni delle prigioni
  • prostituzione di minori
  • traffico umano a scopi sessuali
  • lavoro minorile

 

Lo stato dei diritti umani penalizza quindi non poco l’indice di sviluppo umano.

Una valutazione complessiva della qualità della vita in Colombia non raggiungerebbe la sufficienza. 

 

Risulta quindi chiaro come non abbia senso parlare di sviluppo quando ci si trova in presenza di una crescita del reddito anche elevato ma le condizioni di vita della popolazione rimangono mortificate.

Appare evidente che non può avere importanza un tasso di crescita del reddito del 10% se permane alto il numero di persone che versano in stato di povertà, o se una cattiva distribuzione del reddito permetta a pochi, se non pochissimi, di beneficiare di questa crescita, o se si registra un elevato tasso di mortalità, specie infantile, o se pochi hanno accesso all’istruzione, o se buona parte della popolazione è costretta a subire gravi violazioni dei diritti civili, se si rischi la violenza del potere, se non si sia sicuri di non subire indebite violazioni della propria libertà, se non sia possibile manifestarsi liberamente, o associarsi, se si possa essere discriminati, se non si possano esercitare i propri diritti di lavoratore.

E’ una lunga strada, anche difficile, che il mondo sta percorrendo per far raggiungere a tutti, in tutti i luoghi, condizioni di vita che garantiscano il principio fondamentale di tutti i diritti, ossia il rispetto della dignità di ogni singolo uomo.

Questa strada oggi è tracciata, anche se con molta fatica, innanzitutto dall’ONU, affiancata da alcune organizzazioni non governative, fra cui primeggia Amnesty International.

 

 

******************

 

 

 


Problemi ed idee ai margini dell’attuale crisi economica (luglio 2013)

L’attuale situazione economica del paese non può essere risolta che con misure efficaci  che partano dall’individuazione delle cause della crisi.

Le cause sono certamente molte e quindi si dovrà provvedere in varie direzioni, la grave corruzione, la presenza ormai in tutto il paese di una criminalità organizzata (e ben organizzata), l’evasione fiscale fra le più alte d’Europa e, certamente non ultima, una sempre più grave sperequazione dei redditi, come del resto messo in evidenza da un indice di Gini (l’indice di perequazione dei redditi) continuamente in ascesa e fra i più alti d’Europa.

 

Fra i provvedimenti da prendere, quindi, ve n’è uno di politica fiscale, che è, ora che la politica monetaria non è più affidata alla politica nazionale, ormai l’unico di politica economica rimasto al governo nazionale.

 

Si tratta della revisione delle aliquote dell’IRPEF, revisione che dovrebbe far raggiungere  due obiettivi: 1) contribuire (insieme ad altre misure non trattate qui, prima fra tutte il ritorno alla politica dei redditi) a rendere più equa la distribuzione del reddito nazionale; 2) stimolare la crescita dei consumi (da completare mediante la riduzione delle aliquote IVA per alcuni generi).

 

Tale revisione, mantenendo 5 aliquote come in atto, dovrebbe far diminuire l’irpef per i redditi fino a 68.000 euro lordi l’anno ed aumentarla per i redditi più alti. Il punto di cut-off di 68.000 lordi l’anno corrisponde ad euro 45.450 netti l’anno, ossia a 3.496 euro netti al mese.

 

I dettagli della proposta, con gli effetti sui vari livelli di reddito, sono esposti in calce.

 

Ovviamente è questa una ipotesi che avrebbe bisogno di una verifica utilizzando dati in possesso del Ministero dell’Economia, al fine di determinare la variazione (molto probabilmente in diminuzione) delle entrate dello Stato.

 

Tuttavia vanno fatte in proposito due considerazioni.

 

La prima è che questa revisione va fatta nell’ambito di un programma di seria ed efficace lotta all’evasione fiscale. Quindi le minori entrate sarebbero, si ritiene ad abundatiam, coperte dall’incremento di entrate dovute alla minore evasione.

 

La seconda, più sottile, è che i maggiori redditi netti delle fasce meno ricche della popolazione genererebbero maggiori consumi, quindi una crescita del PIL e, in definitiva, maggiori entrate dello Stato.

 

Quindi le valutazioni sugli effetti della revisione delle aliquote non dovrebbero ignorare tali elementi, tenendo conto fra l’altro della opportunità che si prenda anche un’altra misura di politica fiscale (quindi di politica economica) relativa alle aliquote IVA.

 

Questa misura dovrebbe avere lo scopo di favorire i consumi essenziali della popolazione (sostanzialmente farina, pane, pasta, riso, zucchero, alcuni ortaggi, alcuni tipi di frutta), consumi che avendo una scarsa elasticità della domanda, risentono in misura limitata delle variazioni dei prezzi. L’effetto benefico sui consumi sarebbe quindi indotto, poiché quanto risparmiato su tali prodotti sarebbe utilizzato per l’acquisto di altri prodotti.

 

L’ipotesi è che si ottenga dall’Unione Europea l’autorizzazione, per un periodo transitorio,  ad azzerare l’iva su questi generi di prima necessità.

 

La revisione dovrebbe essere completata con l’abbassamento dell’aliquota applicata su altri beni di medio-alta importanza per la popolazione, ossia, ad esempio, sui rimanenti generi alimentari, sulle medicine, sull’edilizia,  sugli elettrodomestici, sulle automobili, e l’innalzamento delle aliquote su tutto ciò che rappresenta un lusso o comunque che copre bisogni per niente essenziali e che non rappresentano il modo di vivere del cittadino medio.

 

Ovviamente anche in questo caso la misura va presa dopo aver considerato quali siano stati, o quali si prevede che possano essere, gli effetti di una seria ed efficace lotta all’evasione fiscale e tenendo conto degli effetti sui consumi, e quindi sui redditi, e quindi sulle entrate dello stato delle misure stesse.

 

Come si è detto, poi, queste manovre di politica fiscale, ossia di politica economica, devono rientrare in un piano complessivo tendente a porre rimedio alle distorsioni in atto esistenti nel sistema Italia, un sistema che ha visto il pesante peggioramento della distribuzione dei redditi, riparabile anche con la reintroduzione della politica dei redditi (che probabilmente sarebbe bene introdurre insieme alla cogestione per le imprese maggiori), e che è in atto soffocato, con conseguente difficoltà di ripresa, da una corruzione dilagante e dalla presenza di una criminalità organizzata che, in molti casi, costituisce un onere insopportabile per molte imprese costrette a pagare doppie tasse, allo stato ed alle mafie.

    irpef  irpef con attuali aliquote 
 reddito  aliquota X fascia totale              15.000                3.450
attuali aliquote                  20.000                4.800
         15.000 23%          3.450             3.450              28.000                6.960
         28.000 27%          3.510             6.960              30.000                7.720
         55.000 38%       10.260           17.220              45.000              13.420
         75.000 41%          8.200           25.420              60.000              19.270
oltre 43%                  65.000              21.320
                     68.000              22.550
                     75.000              25.420
                     85.000              29.720
                   100.000              36.170
 aliquote proposte       irpef con aliquote proposte 
         20.000 20%               4.000              15.000                3.000
         30.000 27%    2.700,00             6.700              20.000                4.000
         45.000 35%    5.250,00           11.950              28.000                6.160
         60.000 44%    6.600,00           18.550              30.000                6.700
 oltre  50%                  45.000              11.950
                     60.000              18.550
                     65.000              21.050
                     68.000              22.550
                     75.000              26.050
                     85.000              31.050
                   100.000              38.550

 

reddito lordo irpef attuale nuova  irpef diff. reddito annuale netto att. reddito annuale netto nuovo reddito mens.  netto att. reddito mens.  netto nuovo
       15.000          3.450          3.000 -  450        11.550        12.000              888              923
       20.000          4.800          4.000 -  800        15.200        16.000          1.169          1.231
       28.000          6.960          6.160 -  800        21.040        21.840          1.618          1.680
       30.000          7.720          6.700 -  1.020        22.280        23.300          1.714          1.792
       45.000        13.420        11.950 -  1.470        31.580        33.050          2.429          2.542
       60.000        19.270        18.550 -    720        40.730        41.450          3.133          3.188
       65.000        21.320        21.050 -    270        43.680        43.950          3.360          3.381
       68.000        22.550        22.550                 -          45.450        45.450          3.496          3.496
       75.000        25.420        26.050              630        49.580        48.950          3.814          3.765
       85.000        29.720        31.050          1.330        55.280        53.950          4.252          4.150
    100.000        36.170        38.550          2.380        63.830        61.450          4.910          4.727

 

****************

 

 

SUI DIRITTI UMANI IN ITALIA (dicembre 2013)

 

Abbiamo effettuato una ricognizione sugli appunti mossi da alcune istituzioni ed organizzazioni internazionali nei riguardi del rispetto dei diritti umani in Italia.

Sono stati presi in considerazione :

  • I rapporti degli ultimi anni dei Comitati ONU costituiti per la verifica del rispetto, da parte degli stati aderenti, delle varie convenzioni ONU riguardanti diritti umani [1];

  • Il rapporto 2013 di Amnesty International sull’Italia e la campagna promossa dalla Sezione Italiana “Ricordati che devi rispondere”;

  • Il rapporto 2013 di Freedom House sull’Italia [2];

  • Gli indici 2012 di Trasparency International [3];

  • Il rapporto 2012 sui diritti umani del Dipartimento di Stato USA sull’Italia.

  • Il rapporto 2012 della Corte dei Conti italiana, citato sia da Trasparency International che dal Dipartimento di Stato USA

 

Nei confronti dei diritti umani in Italia sono state rilevate carenze sui seguenti temi:

 

POLITICA NAZIONALE ED AMMINISTRAZIONI LOCALI

  • Corruzione
  • evasione fiscale

LIBERTà DI STAMPA

  • concentrazione dei media

GARANZIE PERSONALI

  • eccessiva durata dei procedimenti penali
  • sovraffollamento della maggior parte delle carceri italiane
  • tortura ed altri maltrattamenti

MIGRANTI E STRANIERI

  • trattamento di rifugiati e migranti al loro arrivo
  • condizioni dei centri immigrati
  • Xenofobia ed intolleranza nei confronti degli immigrati
  • sfruttamento dei lavoratori stranieri

DIRITTI DELLE DONNE

  • discriminazione
  • violenza e femminicidio

DISCRIMINAZIONI

  • discriminazioni nei confronti dei ROM
  • discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale

LAVORO

  • lavoro minorile
  • lavoro nero

 

N.B. Ciò che è riportato in corsivo è una citazione testuale. Gli organismi citati sono sottolineati

POLITICA NAZIONALE ED AMMINISTRAZIONI LOCALI

 

Fra le carenze nei diritti umani in Italia, probabilmente, in prima evidenza è da porre la corruzione, se non altro per il grande numero di “vittime”, ossia la quasi totalità della popolazione.

Al riguardo così si esprime Freedom House “La corruzione resta un problema centrale nella politica italiana”.

Freedom House assegna alle libertà civili, ai diritti politici ed alla libertà di stampa di ogni paese un punteggio che, per i primi due va da 1 (valore massimo) a 7 (valore minimo).

Freedom House ha abbassato il valore dei diritti politici in Italia da 1 a 2 spiegandolo nel seguente modo “La valutazione dei diritti politici in Italia è scesa da 1 a 2 a causa della continua, diffusa grande e piccola corruzione, soprattutto al sud”.

 

Questa pesante valutazione è confermata da Trasparency International, che per il 2012 ha assegnato all’Italia un indice di 42/100 che la pone al 72° posto nel mondo (su 174 valutati) e fra gli ultimi paesi dell’Unione Europea, seguita soltanto dalla Bulgaria, al 75° posto con un indice di 41 e dalla Grecia al 94° posto con un indice di 36.

Nel suo commento relativo all’Italia T.I. cita il rapporto 2012 della Corte dei Conti che “ha denunciato come la corruzione sia in grado di far lievitare i prezzi delle grandi opere pubbliche fino al 40% in più”.

Anche il rapporto 2012 del Dipartimento di Stato USA, nel capitolo dedicato all’Italia fa riferimento alla pesante corruzione in Italia, citando il dato fornito dalla Corte dei Conti di 4.046 persone denunciate nel 2011 per corruzione, concussione ed abuso di potere.

 

Tuttavia le violazioni dei diritti politici in Italia non si ferma soltanto a ciò.

Vi è da aggiungere un’altra gravissima violazione che ha effetti pesantissimi su tutta la popolazione in termini soprattutto economici, che è l’evasione fiscale, valutata dalla Corte dei Conti in circa 180 miliardi l’anno, pari il 27% del PIL, contro il 22,50% della Spagna, il 16% della Germania, il 15% della Francia ed il 12,50% del Regno Unito.

L’evasione fiscale è pienamente da annoverare fra le violazioni dei diritti umani poiché si trasforma in denaro nero che prende la via dei paradisi fiscali, sottraendo risorse all’economia nazionale e costringendo lo stato a mantenere più elevata la pressione fiscale su chi non evade, ossia i percettori dei redditi da lavoro e da pensione, che rientrano nella quasi totalità dei casi nella fascia più bassa dei redditi, con l’ovvia conseguenza di violare i diritti economici e sociali di quasi tutta la popolazione italiana, comprimendone i consumi e quindi mantenendo in stato di sottosviluppo l’economia.

 

Libertà di stampa

 

In materia di libertà di stampa si sono pronunciati in sede ONU sia il Comitato per i Diritti Umani, sia il Relatore speciale sul diritto alla libertà di opinione e di espressione.

Il primo, che vigila sul rispetto del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ha espresso preoccupazioni sulle misure previste dalla legge sulle emittenti radiotelevisive del 2004 (Legge Gasparri), misure che “potrebbero essere inadeguate ad affrontare questioni di influenza politica sulla televisione pubblica”, mentre il secondo ha rilevato che “la concentrazione dei media, insieme ai problemi dei conflitti d’interesse, minacciano sempre più la libertà di opinione e di espressione”.

Freedom House classifica la stampa italiana come “parzialmente libera”, giustificando questa classificazione con l’eccessiva concentrazione della stampa: “I quotidiani sono gestiti principalmente da partiti politici o posseduti da grandi gruppi editoriali. Quando Berlusconi era capo del Governo controllava fino al 90% dei media radiotelevisivi del paese attraverso emittenti di proprietà dello stato e la sua holding di media privati.”

Il Dipartimento di Stato USA così si esprime riguardo alla libertà di stampa in Italia: “La holding di famiglia dell’ex primo ministro Berlusconi, Fininvest, ha mantenuto una quota di controllo della più grande azienda televisiva privata del Paese, Mediaset, della più grande casa editrice di riviste, Mondadori, e della più grande società pubblicitaria, Publitalia. Il fratello di Berlusconi possiede uno dei quotidiani nazionali del Paese, il Giornale.”

 

GARANZIE PERSONALI

 

In questo ambito vengono rilevate a carico dell’Italia carenze relative al sistema giudiziario e al sistema carcerario e alle garanzie nei riguardi del ricorso alla tortura ed altri maltrattamenti.

 

Viene innanzitutto posta in rilievo l’eccessiva durata dei procedimenti penali.

Il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’ONU già nel 2008 mise in rilievo che “l’eccessiva durata dei procedimenti penali e l’abuso della carcerazione preventiva potrebbero portare a casi di detenzione arbitraria”.

Anche Freedom House mette in risalto che “il sistema giudiziario è minato da lunghi ritardi nei processi”.

Va inoltre ricordato che l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo garantisce il diritto di ogni persona “ad un’equa e pubblica udienza entro un termine Ragionevole”.

Sulla base di tale norma l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo a risarcire cittadini italiani che avevano subìto procedimenti giudiziari, sia civili che penali, giudicati di durata superiore a quella “ragionevole” del giusto processo.

Per evitare la minacciata sospensione dell’Italia dal Consiglio d’Europa per l’eccessivo numero di ricorsi in materia, nel 2001 è stata varata la legge 89/2001 del 24 marzo, la così detta legge Pinto, dal primo firmatario, che prevede il risarcimento nei confronti di chi abbia subito un procedimento troppo lungo (orientativamente sei anni complessivi per i tre gradi), senza con questo aver risolto il problema di base, ossia l’eccessiva durata dei processi.

 

Per quanto riguarda il sistema carcerario, vengono mosse dagli osservatori internazionali, critiche relative al sovraffollamento della maggior parte delle carceri italiane.

Il problema è stato messo in rilievo e segnalato alle autorità italiane sia dal Comitato ONU per i diritti umani nel 2006, sia dal Comitato ONU contro la tortura nel 2007.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’8 gennaio 2013 ha condannato l’Italia a risarcire sette detenuti ricorrenti per somme varianti da 10.600 euro a 23.500 euro per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (contro i trattamenti disumani o degradanti), in considerazione dello spazio inferiore ai tre metri quadrati ad ognuno spettante nelle celle (di 9 mq con tre detenuti) contro i sette metri quadri previsti dal Comitato per la prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa.

Ad inizio del 2013, in considerazione del moltiplicarsi di ricorsi in materia, il Consiglio d’Europa ha intimato all’Italia di risolvere il problema entro un anno, quindi entro i primi mesi del 2014.

Il problema del sovraffollamento delle carceri è, infatti, diffuso a tutto il sistema italiano. Nelle carceri italiane si trovano in atto circa 66.000 carcerati, contro 47.000 posti.

In merito va sottolineato che ben il 42% dei carcerati si trova o in detenzione preventiva o in attesa di condanna definitiva.

Proprio quest’ultima circostanza è stata rilevata dai due Comitati ONU citati, che hanno sottolineato che il sovraffollamento è in parte dovuto alla carcerazione preventiva, misura a cui, a parere dei Comitati, si dovrebbe “ricorrere per ultimo”.

Amnesty International nel rapporto 2013, nel capitolo dedicato all’Italia mette in rilievo che “le condizioni di detenzione e il trattamento dei detenuti in molti istituti di pena e altri centri detentivi sono state disumane e hanno violato i diritti umani dei detenuti, compreso il diritto alla salute”.

Inoltre la campagna della Sezione italiana di Amnesty International “Ricordati che devi rispondere” prevede al punto 4 “Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri”.

 

Riguardo alla tortura ed altri maltrattamenti, nel 2007 il Comitato ONU contro la tortura espresse preoccupazione per la mancanza nell’ordinamento penale italiano del reato di tortura e “per il numero di segnalazioni di abusi da parte di funzionari delle forze dell’ordine”.

Amnesty International nel Rapporto 2013 rileva che “ad ottobre [2012] il parlamento ha approvato la ratifica del protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ma non ha introdotto il reato di tortura nel codice penale, come la Convenzione richiede”. In relazione a ciò la Sezione Italiana di Amnesty International ha incluso la problematica nella sua Campagna “Ricordati che devi rispondere”, il cui punto 1 dice “Garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura”.

Il Dipartimento di Stato USA nel rapporto 2012, nel porre in rilievo “la lacuna nel sistema giudiziario per quanto riguarda la mancanza di una legge che criminalizza la tortura”, sottolinea che in atto gli autori possono essere accusati del reato di violenza, ma che “l’azione penale può avvenire solo su denuncia della vittima”.

 

MIGRANTI E STRANIERI

 

Amnesty International nel rapporto 2013, nei riguardi del trattamento riservato dall’Italia a migranti e rifugiati, riporta che “a settembre [2012] il Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani ha criticato il trattamento riservato a rifugiati, richiedenti asilo e migranti, citando la mancanza di misure per integrare i rifugiati e per affrontare il loro stato di indigenza”.

Questo atteggiamento dell’Italia, in particolare al momento del loro arrivo sul territorio nazionale, è stato oggetto di una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che il 23 febbraio 2012 ha condannato l’Italia per l’espulsione collettiva in mare verso la Libia, avvenuta nel 2009, di migranti partiti dal nord Africa. La condanna ha previsto il risarcimento della somma di 15.000 euro più le spese ai 13 eritrei ed 11 somali che avevano fatto ricorso alla Corte. Da notare che, dalla stessa sentenza, si rileva che successivamente le suddette persone hanno avuto riconosciuto lo status di rifugiati.

malgrado ciò il 3 aprile 2012 l’Italia ha sottoscritto un nuovo accordo con la Libia che prevede che l’Italia fornisca addestramento ed equipaggiamenti alla Libia.

Amnesty International, su tale accordo nel rapporto 2013 commenta che “erano del tutto assenti efficaci salvaguardie per i diritti umani. L’accordo non ha tenuto in alcuna considerazione le necessità di protezione internazionale dei migranti”. Amnesty International Italia ha inserito tale problematica nella Campagna “Ricordati che devi rispondere”, che al punto 3 dice: “Proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’emigrazione”

L’Alto Commissariato per i Diritti Umani nel 2009 ha dichiarato che “è contrario al diritto internazionale il fatto che le navi ignorino le richieste di aiuto da imbarcazioni in pericolo perché portano migranti. In molti casi le autorità respingono i migranti e li abbandonano quando si trovano di fronte a difficoltà, disagio pericolo o morte”.

 

Il trattamento riservato a migranti e rifugiati all’arrivo in Italia è completato dalle condizioni in cui si trovano i centri immigrati.

Amnesty International lo ha posto in rilievo nel rapporto 2013 “le condizioni nei centri di detenzione per migranti irregolari sono state ben al di sotto degli standard internazionali”.

Il Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale ed il Comitato ONU per i diritti umani hanno espresso preoccupazione perché “le condizioni di detenzione nel centro di Lampedusa non sono soddisfacenti – sovraffollamento, scarsa igiene, alimentazione o cure mediche inadeguate – e per il fatto che alcuni migranti sarebbero stati abusati”.

L’Alto Commissariato per i rifugiati Nel 2009 ha richiamato l’attenzione sul fatto che “il sovraffollamento nel centro di Lampedusa ha creato una situazione preoccupante in termini umanitari”.

 

Anche riguardo agli atteggiamenti xenofobici ed intolleranti nei confronti degli immigrati che già si trovano sul territorio nazionale sono state mosse critiche da parte di osservatori dell’ONU.

L’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU nel 2008 ha espresso “la sua profonda preoccupazione per gli atteggiamenti xnofobi ed intolleranti nei confronti dell’immigrazione clandestina e delle minoranze indesiderate”, facendo riferimento “alla recente decisione del governo di rendere l’immigrazione clandestina un reato”.

il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria ha pure fatto riferimento a ciò osservando che “L’Italia attribuisce un nesso tra la pubblica sicurezza e il controllo dell’immigrazione, considerando entrambe emergenze che richiedono misure straordinarie. Su questo approccio si basa la ‘legge sulla sicurezza’ adottata dal governo nel maggio 2008”, ed ha rilevato in particolare che “lo straniero in posizione irregolare raggiunto da un ordine scritto di lasciare il territorio italiano commette un reato penale punibile con carcere se rimane in Italia”. Il gruppo di lavoro ha anche criticato che per qualsiasi reato sia stata introdotta in Italia “la circostanza aggravante di straniero in posizione irregolare”.

Il Comitato per i Diritti economici, Sociali e Culturali ha esortato l’Italia “ad intensificare gli sforzi per costruire alloggi stabili per gli immigrati e ad adottare tutte le misure per promuovere la loro integrazione nelle comunità locali, offrire loro posti di lavoro e sviluppare adeguate strutture per l’istruzione dei loro figli”

 

Da più parti viene anche segnalato lo sfruttamento dei lavoratori stranieri.

Amnesty International nel rapporto 2013 segnala che “I lavoratori migranti sono stati spesso sfruttati e vulnerabili agli abusi, mentre le loro possibilità di accedere alla giustizia è rimasta inadeguata”.

Il Comitato ONU per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale ha raccomandato all’Italia “l’adozione di misure per prevenire e riparare i gravi problemi a cui i lavoratori stranieri sono normalmente esposti”.

Il Relatore Speciale sulle forme contemporanee di razzismo ha raccomandato all’Italia “di lottare contro sfruttamento e l’abuso dei lavoratori migranti, in particolare nel settore agricolo, e a garantire che vengano approvate leggi appropriate a tutela delle donne immigrate che lavorano come domestiche”.

Il Relatore speciale sui diritti umani dei migranti ha affermato che “l’esistenza di offerte di impiego nell’economia sommersa è stata la causa principale dell’immigrazione clandestina in Italia, e che esiste una notevole quantità di bisogno di manodopera non soddisfatta a cui il sistema contrattuale nominale basato sulle quote massime non può rispondere”.

Il Dipartimento di Stato USA nel rapporto 2012 segnala che “persiste la discriminazione contro i non cittadini nel mercato del lavoro e la mancanza di un’adeguata tutela giuridica contro lo sfruttamento o le condizioni di lavoro abusive”.

 

DIRITTI DELLE DONNE

 

Per quanto riguarda la discriminazione nei confronto delle donne, nel 2005 il Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne ha rilevato “con preoccupazione i fattori che causano gravi inconvenienti alle donne nel mercato del lavoro: la loro sotto-rappresentazione in posizioni di responsabilità, il fatto che esse siano maggiormente presenti in alcuni settori a basso salario e in posti di lavoro part-time, le grandi differenze di retribuzione tra uomini e donne, e la non applicazione del principio di parità di retribuzione per lavoro di ugual valore”.

Secondo dati riportati dal Dipartimento di Stato USA nel rapporto 2012 “il divario globale tra stipendi per uomini e donne è rimasto stabile nel 2010 al 5,5 per cento. Le donne continuano ad essere sottorappresentate in molti campi, tra cui la gestione, l’attività imprenditoriale e le altre professioni. Nel dicembre 2011 le donne possedevano solo il 23,5 per cento delle imprese registrate. Il governo ha riferito che nel mese di agosto circa il 9 per cento dei membri dei consigli d’amministrazione di società quotate in borsa erano donne”.

 

La violenza sulle donne e in particolare il femminicidio hanno costituito fino ad oggi un problema per l’Italia, come scrive nella sua relazione la Relatrice speciale dell'Onu sulla violenza di genere, Rashida Manjoo in seguito alla visita in Italia a gennaio 2012, la quale sottolinea che “Gran parte delle manifestazioni della violenza denunciata ha luogo in un contesto caratterizzato da una società patriarcale e incentrato sulla famiglia; la violenza domestica, inoltre, non sempre  viene percepita come reato. Emerge, inoltre, il tema della dipendenza economica, come pure la percezione che la risposta dello stato a tali denunce possa non risultare appropriata o utile. Per di più, un quadro giuridico frammentario e l'inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle donne vittime di violenza sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema.” E così conclude “l'attuale situazione politica ed economica dell'Italia non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo paese. Invito quindi tutte le parti coinvolte ad assumersi, in questo momento cruciale, la responsabilità di promuovere i diritti umani per tutti e, cosa più importante, a far sì che il tema della violenza contro le donne rimanga tra le priorità dell'agenda nazionale. Esorto il settore governativo e quello non governativo ad adottare un approccio più coerente e creativo, così da favorire la transizione verso una società politicamente ed economicamente stabile in cui la promozione e la protezione dei diritti umani di tutti gli individui possa diventare obiettivo centrale in quest'epoca di crisi e cambiamento.”

Va precisato che il 19 giugno 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica).

Per effetto di tale ratifica con la legge 119 del 15 ottobre 2013 il “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” è stato aumentato di 10 milioni di euro ed è stato prevista un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, oltre ad essere state apportate modifiche ai codici penale e di procedura penale, come aggravanti quando la violenza è commessa dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, e come la non remissibilità della querela.

Amnesty International Italia ha incluso la problematica nella campagna “Ricordati che devi rispondere” al punto 2: “Fermare il femminicidio e la violenza contro le donne”.

 

DISCRIMINAZIONI

 

Per quanto riguarda le discriminazioni nei riguardi dei ROM, va innanzitutto ricordato che il 21 maggio 2008 era stata dichiarata dal governo italiano la così detta “emergenza nomadi” in base alla quale furono operati numerosi sgomberi di campi Rom. Tuttavia nel novembre 2011 il Consiglio di Stato, con sentenza confermata il 2 maggio 2013 dalla Corte di Cassazione, ha considerato illegittimo il provvedimento del governo.

Riguardo agli interventi sull’Italia effettuati in materia dagli osservatori internazionali, si segnala in particolare quanto segue.

Il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale nel 2008 ha espresso preoccupazione “per gli atteggiamenti e gli stereotipi negativi sui Rom che prevale tra le autorità comunali ed il pubblico”, per “la segnalazione di casi di discorsi di incitamento all’odio, comprese le dichiarazioni contro stranieri, arabi e musulmani, così come contro i Rom, da parte di alcuni politici” ed ha raccomandato all’Italia “di adottare misure energiche per combattere questa tendenza”, nonché per il fatto che “i media ancora contribuiscono a diffondere una immagine negativa delle comunità Rom e Sinti e che lo Stato non abbia adottate misure sufficienti per porre rimedio a questa situazione.

Il Comitato ha inoltre raccomandato all’Italia “di astenersi dal collocare i Rom in insediamenti segregati senza accesso alla sanità e altri servizi essenziali”, ed ha manifestato preoccupazione “per il basso tasso di scolarizzazione dei bambini Rom”.

Il Comitato per i diritti dell’uomo ha dichiarato che “l’Italia deve ricordare regolarmente e pubblicamente che i discorsi di odio sono proibiti dalla legge, ed agire rapidamente per assicurare i responsabili alla giustizia”.

Il Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo ha sottolineato la necessità “di lottare contro i programmi politici razzisti e xenofobi”.

Il comitato di esperti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (agenzia dell’ONU), ha chiesto all’Italia “quali misure siano state adottate per promuovere una maggiore partecipazione dei Rom nel mercato del lavoro, comprese misure per migliorare il loro accesso all’istruzione e alla formazione”.

Amnesty International Italia ha incluso la problematica della discriminazione nei confronti dei Rom al punto 6 della campagna “Ricordati che devi rispondere” “fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei Rom”.

 

Riguardo alla discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, il Dipartimento di Stato USA, nel rapporto 2012 riferisce che dal sondaggio condotto dall’Arcigay e pubblicato il 13 ottobre 2012 risulterebbe che “il 5 per cento degli intervistati ha riferito che erano stati licenziati dal lavoro a causa del loro orientamento sessuale e il 19 per cento ha dichiarato di essere stato vittima di altre forme di discriminazione dal lavoro”.

Amnesty International Italia ha inserito la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale al punto 5 della campagna “Ricordati che devi rispondere”: “Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, trans gender e intersessuate)”.

 

 

 

 

LAVORO

 

In Italia esiste innegabilmente un problema di lavoro minorile che riguarda soprattutto i molti minori immigrati non accompagnati. A dicembre 2011 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stimato che nel paese fossero presenti 7.750 minori non accompagnati, di cui 5.959 hanno ricevuto l’assistenza del Governo e 1.791 si sono dispersi dopo la fuga dai centri di identificazione.

Ogni anno l’ispettorato del lavoro rileva parecchie centinaia di casi di minori che lavorano in violazione delle leggi, tuttavia i casi rilevati rappresentano soltanto una piccola parte del fenomeno.

 

Altrettanto grave è in Italia il problema del lavoro nero. Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il numero dei lavoratori in nero rilevato annualmente supera i 100.000 e molto superiori sono le irregolarità riscontrate. Ciò soprattutto viene rilevato nelle imprese dei settori dell’edilizia e dell’agricoltura. Nel 2012 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha condotto ispezioni in 86 aziende agricole nelle province di Foggia, Latina, Lecce e Salerno ed ha rilevato che il 74 per cento dei 486 lavoratori italiani ed il 21 per cento dei 124 lavoratori stranieri lavoravano in nero. L’ISTAT ha stimato nel 2010 che i lavoratori in nero fossero circa 2,5 milioni pari ad oltre il 10 per cento della forza di lavoro totale.

 

Il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali ha espresso all’Italia la propria preoccupazione “per il mantenimento di un’ampia economia sotterranea, in cui i diritti economici, sociali e culturali di coloro che vi lavorano, compresi i bambini, non sono rispettati pienamente”.

 

 



[1] Nei riguardi dell’Italia si sono pronunciati: L’Alto Commissariato per i Diritti Umani, il Comitato Contro la Tortura, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il Comitato per i Diritti Umani, il Gruppo di Lavoro sulla Detenzione Arbitraria, il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Contro le Donne, il Relatore Speciale sul Diritto alla Libertà di Opinione e di Espressione, il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il Comitato sui Diritti del Fanciullo, il Relatore Speciale sui Diritti Umani dei Migranti.

[2] Freedom House è un'organizzazione indipendente con sede a Washington “dedicata alla espansione della libertà in tutto il mondo”.

[3] Trasparency International è l’Associazione contro la corruzione che assegna annualmente ad ogni paese “L’Indice di Percezione della Corruzione”.

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